Interviste e percorsi

Interviste e percorsi

Dai tuoi interessi al mondo del lavoro

Lavorare con la musica

Intervista ad Antonio Valentini, concertista, insegnante al conservatorio e direttore artistico

Diplomato in pianoforte a Torino e in musica da camera al Conservatorio di Vienna, dal 2012 è titolare della cattedra di Musica da camera presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Nel 1989 ha fondato, insieme al violinista Piergiorgio Rosso e alla violoncellista Francesca Gosio, il Trio Debussy, il più longevo ensemble cameristico italiano in attività, con cui nel 1997 ha vinto il primo premio assoluto al Concorso Internazionale per complessi da camera “Trio di Trieste”. Nella sua lunga carriera Antonio Valentino si è esibito con diverse formazioni in centinaia di concerti per le più prestigiose società cameristiche italiane ed estere. Dal 2020 è direttore artistico dell’Unione Musicale di Torino.

INDICE

  • ►Come riesce a conciliare tre lavori differenti?
  • ►Quali vantaggi ci sono nel fare tre attività?
  • ►C’è un lavoro che predilige rispetto agli altri?
  • ►Qual è stato il suo percorso formativo?
  • ►Dopo il diploma ha seguito altri corsi di specializzazione?
  • ►Quando ha iniziato il suo percorso immaginava di fare quello che fa oggi?
  • ►Quando organizza una stagione musicale, quali sono i criteri che la guidano nella scelta dei concerti?
  • ►Che consiglio si sente di dare a chi volesse intraprendere un percorso come il suo?

PER APPROFONDIRE

  • Scopri dove studiare musica
  • Leggi altre interviste a chi lavora nel settore della musica
  • I numeri delle professioni: musica classica

Concertista, insegnante e direttore artistico. Non deve essere facile gestire contemporaneamente tre attività così impegnative, per quanto affini. Come riesce a conciliare tre lavori differenti?

Devo essere particolarmente attento nell’organizzazione dei tempi. L’aspetto più critico riguarda la professione di concertista, perché l’esecuzione presuppone una preparazione molto lunga e faticosa, fatta di ore di lavoro allo strumento nelle giuste condizioni. Quando studio devo avere la mente libera da altre preoccupazioni e cercare il più alto grado di concentrazione, che diventa esplosiva nel momento del concerto. Serve una certa dose di serenità per riuscire a restituire in pubblico ciò che hai studiato, aggiungendo qualcosa in più al momento. Se svolgi diverse attività il cervello rischia di essere sempre occupato a pensare ad altro. Per evitarlo, cerco di separare nettamente ogni momento della giornata e trovare lo spazio giusto per lo studio. Quando sono al pianoforte cerco di non avere distrazioni, tengo lontano il cellulare ed evito di controllare la posta, in modo da ricavare un’oasi di pace. Le altre attività sono più semplici dal punto di vista della gestione del tempo.

Ci sono però anche lati decisamente positivi nel fare contemporaneamente tre cose. Quali vantaggi ci sono nel fare tre attività?

Ogni attività finisce per arricchire le altre. Suonando e studiando molto, per esempio, posso insegnare ai miei allievi ciò che io stesso faccio quotidianamente. Non è scontato, non sempre i docenti di conservatorio hanno una carriera da esecutori e non sempre possono quindi mettere gli allievi in condizione di velocizzare il lavoro di apprendimento. Nello stesso tempo, avendo ben presente il lavoro di preparazione per me è più facile fare scelte ponderate quando devo dedicarmi alla direzione artistica. Lavorando in conservatorio inoltre ho l’opportunità di conoscere bene l’ambiente musicale anche giovanile e ricevo continuamente stimoli dagli stessi allievi, che per esempio mi segnalano artisti che seguono sui social network e che poi io vado ad ascoltare. Insomma, seguire tre attività rappresenta un arricchimento continuo e mi rende estremamente contento.

C’è un lavoro che predilige rispetto agli altri?

Non sarei in grado di rinunciare a nessuno dei miei lavori. L’insegnamento probabilmente è quello che mi appaga di più. Forse dipende da una vocazione personale all’educazione. Mi entusiasma soprattutto il confronto con le nuove generazioni, il fatto di condividere con loro la mia esperienza e trovare un riscontro immediato, vedere che i miei consigli aiutano gli allievi a crescere. L’esecuzione concertistica invece riguarda più la mia persona: mi fa piacere suonare e cercare di dare sempre il meglio, ma è un aspetto rivolto più verso di me che all'esterno.

Il lavoro come direttore artistico è ancora diverso. Ho ricevuto la nomina nel 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia, e gestire la stagione in un momento simile è stata una sfida enorme, mi ha dato stimoli che non credevo di trovare. Ho cercato di fare piccole rivoluzioni nella programmazione, andando a esplorare territori diversi dal concerto classico in senso stretto. Per esempio ho avviato un progetto, chiamato Discovery, in cui c'è spazio per la musica elettronica, per la world music, per la musica pop.

Qual è stato il suo percorso formativo?

Ho iniziato a studiare pianoforte privatamente a 7 anni, poi ho fatto l’esame di ammissione in conservatorio quando ne avevo 11. In conservatorio ho seguito le scuole medie e una prima versione del liceo musicale, molto diverso da quello attuale, e mi sono diplomato in pianoforte a 21 anni. Anche il conservatorio era diverso rispetto a oggi. C’erano due esami di sbarramento, al quinto e all’ottavo anno: non superarli significava abbandonare il corso. Al decimo anno si affrontava l’esame per il diploma. In mezzo si studiavano alcune materie complementari, come teoria e solfeggio, storia della musica, armonia. Chi studiava uno strumento ad arco era obbligato a studiare materie d’insieme come orchestra e quartetto, i pianisti invece non erano tenuti a suonare insieme agli altri.

Oggi il conservatorio segue la struttura 3+2, come l’università. Per accedervi bisogna essere in grado di suonare a un livello che corrisponde circa al settimo anno dell’orientamento precedente. Il problema è che a quel punto l’allievo ha già un’impostazione solida, difficile da correggere nel caso non sia del tutto adeguata. Per questo al conservatorio di Torino abbiamo deciso di seguire anche la fascia pre-accademica, offrendo corsi di preparazione e corsi speciali per talenti precoci.

Dopo il diploma ha seguito altri corsi di specializzazione?

All’ultimo anno di studio abbiamo fondato il trio e la mia formazione si è orientata verso la musica da camera. Ho seguito un corso di perfezionamento sul repertorio solistico con Aldo Ciccolini, uno dei migliori pianisti della sua generazione, mentre insieme ai miei colleghi ho studiato con il Trio di Trieste, il primo complesso al mondo a riunirsi in formazione stabile, composta da violino, violoncello e pianoforte. È stata una grande fortuna studiare con loro, perché sono stati un punto di riferimento assoluto a livello mondiale. In parallelo ci siamo perfezionati a Vienna con un'altra formazione cameristica, il Wiener Schubert Trio. Il connubio è stato molto proficuo perché i metodi di insegnamento erano molto diversi tra loro e complementari. Quello italiano era più simile a un laboratorio artigianale, si partiva dall’aspetto tecnico-strumentale (arcate per gli archi, legato per il pianoforte, qualità del suono, lettura precisa della partitura) per arrivare a parlare di musica. In  quello viennese invece la musica era un pretesto per sondare un mondo “altro”: per spiegare una melodia potevano fare ricorso a una poesia di Leopardi. Erano entrambi approcci meravigliosi, e da entrambi abbiamo cercato di cogliere gli aspetti migliori.

Quando ha iniziato il suo percorso immaginava di fare quello che fa oggi?

L’ho desiderato fortissimamente: sognavo di tenere concerti e insegnare in conservatorio. La direzione artistica è arrivata dopo, probabilmente per me era talmente irraggiungibile che non sono neanche stato in grado di desiderarla, ma poi è stata una scoperta bellissima: organizzare una stagione musicale significa dare lavoro ai colleghi, far conoscere la musica e – perché no? – ascoltare a due passi da casa i concerti che preferisci.

All’inizio però ero abbastanza incosciente. Suonare è divertente, ma studiare è faticoso e non ne avevo tanta voglia. Via via però l’entusiasmo è cresciuto, grazie anche all’aiuto della mia famiglia. Mio padre e mia madre che non capivano molto di musica, ma sentendo dire che avevo talento mi hanno sostenuto tantissimo. A un certo punto hanno venduto un garage – il loro fondo pensione – per comprarmi un pianoforte stupendo, con l’aiuto di mia sorella che aveva da poco cominciato a lavorare. Il loro entusiasmo ha contagiato anche me: poco alla volta ho iniziato a studiare di più, per il diploma mi sono impegnato come si deve e i risultati si sono visti.

Nel nostro mestiere il talento è fondamentale, ma senza lo studio non si va da nessuna parte. È come avere un ricco conto in banca e sperare di vivere di rendita: a un certo punto il capitale si esaurisce. Bisogna integrarlo regolarmente, e il segreto è la costanza. Non serve studiare a lungo se poi si passano intere giornate lontani dallo strumento. L’ideale è costruirsi una routine quotidiana. Ci vuole disciplina, certo, ma studiare tutti i giorni fa crescere anche il piacere di suonare.

Quando organizza una stagione musicale, quali sono i criteri che la guidano nella scelta dei concerti?

Cerco una sintesi di tutto ciò che mi piacerebbe ascoltare in prima persona. Sicuramente musica classica, ma non storco certo il naso di fronte ad altri generi, anzi sono molto curioso. Quando ero ragazzo avevo un gruppo rock, ho ascoltato tanta musica diversa e da questo punto di vista mi sento più affine al mondo anglosassone. In Italia si tende a essere più chiusi, i diversi generi musicali sono come piccole riserve che si muovono a compartimenti stagni. Nel mondo anglosassone un ragazzo del liceo nella stessa settimana va a sentire una sinfonia di Beethoven e poi un concerto punk. Anche la programmazione delle radio in generale è più varia.

A me piacerebbe che ci fosse questa questa ibridazione del pubblico. Una sonata di Beethoven può aprire un mondo se messa a confronto con tutto ciò che non è Beethoven. Se ascolti solo Beethoven ti manca tutto il resto. Secondo me ad arricchire è il confronto, non la nicchia.

Che consiglio si sente di dare a chi volesse intraprendere un percorso come il suo?

Mettere tutta la dedizione possibile e un po’ di incoscienza, sapendo che per molto tempo non ci sarà un ritorno economico. Le occasioni oggi sono più numerose rispetto a qualche decennio fa. Quando eravamo giovani, con  il trio siamo stati molto fortunati a essere scelti come gruppo residente dell’Unione Musicale, il che ci garantiva un minimo di concerti a ogni stagione. Oggi ci sono più possibilità, ma anche più concorrenza. Il mio consiglio è vivere l’esperienza musicale soprattutto come arricchimento personale. La musica è di per sé un'arte inutile, almeno dal punto di vista pratico. Però è utilissima per lo spirito, non potremmo vivere senza. Per me è la cosa più bella che possa capitare. Io spero che tra i giovani ci siano sempre dei sognatori in grado di immaginare un futuro diverso, credo che ce ne sia sempre un gran bisogno.