Interviste e percorsi

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Dai tuoi interessi al mondo del lavoro

Dalle arance ai vestiti: moda ed economia circolare

Intervista a Enrica Arena, linguista esperta di relazioni internazionali alla guida di un’impresa per la moda sostenibile

Immagine di copertina: Enrica Arena, crediti: Luca Distefano/Orange Fiber

A 18 anni ha abbandonato la Sicilia per studiare a Milano, inseguendo il suo sogno di vita e professionale, con la passione per le lingue che l’ha portata verso istituzioni internazionali vocate al progresso sociale. Dopo un lungo percorso di studi e di praticantato, ha iniziato a lavorare allo sviluppo di un’azienda che valorizza il più conosciuto dei prodotti della sua terra d’origine: le arance. Esperta di cooperazione internazionale con un trascorso in Egitto, Enrica Arena è stata coinvolta quasi per sbaglio in un progetto per creare tessuti innovativi con gli scarti degli agrumi. Così, con l’obiettivo di essere utile alla società, ha co-fondato una startup capace di valorizzare la Sicilia e – al contempo – mostrare una sostenibilità possibile anche nel mondo della moda.

INDICE

  • Di che cosa si occupa e di quali attività si fa carico?
  • Ci racconti il suo percorso…
  • Come  è nata la sua azienda, e di che cosa si occupa?
  • Quali sono le caratteristiche fondamentali per affrontare un’attività manageriale?
  • Ritiene che facciano più la differenza le competenze o l’originalità di ciò che viene offerto?
  • Come sta evolvendo il settore della moda sostenibile?
  • CONCETTI IN PRATICA - Ricavare tessuti dagli scarti di produzione delle arance

PER APPROFONDIRE

  • Scopri dove studiare lingue e culture straniere

Di che cosa si occupa e di quali attività si fa carico?

Le mie giornate sono sempre differenti, non ci si annoia mai. Nella stessa settimana ci sono fasi di lavoro al computer, durante le quali rispondo alle mail, gestisco le spedizioni e i clienti, coordino il lavoro di comunicazione, gestisco il personale e programmo il nostro sito. In altri giorni mi occupo della scelta dei campioni da mandare ai vari brand della moda e della relazione con i clienti. Dedico anche giornate intere a raccontare a studenti e interessati della nascita e della crescita della realtà in cui lavoro, che credo possa essere utile come caso di studio d’ispirazione per le nuove generazioni. Non mi definirei una persona statica o stanziale: grazie a questa attività – e al mio ruolo di amministratrice delegata – posso spostarmi fisicamente e soprattutto cambiare il contesto in cui opero. Direi che nel mio caso non esiste una giornata tipo, perché sono chiamata a gestire molti aspetti diversi dell’attività, tenendo bene a mente la visione aziendale e condividendo passo passo gli obiettivi con la squadra dei collaboratori.

Ci racconti il suo percorso: come sono trascorsi gli anni di studio e di tirocinio successivi alla sua partenza dalla Sicilia?

Sono stati anni molto impegnativi. Credo che l’essere arrivata oggi a ricoprire questo ruolo sia dovuto soprattutto alla passione e alla volontà di andare sempre avanti, nonostante le tante vicissitudini che ho dovuto affrontare. Non è retorica: fondamentale si è dimostrata la conoscenza delle lingue, sia per potermi esprimere in tanti contesti sia per comprendere le informazioni disponibili in lingue diverse dall’italiano. Gli studi universitari mi hanno permesso di sviluppare un metodo per affrontare le situazioni complesse e gestire lo stress senza perdere lucidità. Ritengo che questo aspetto sia una delle soft skill fondamentali per cercare soluzioni efficaci e rapportarsi in maniera propositiva con colleghi, amici e consulenti. Durante il mio percorso formativo ho vissuto anche esperienze all’estero, per esempio in Egitto, nella capitale Il Cairo e ad Alessandria. L’indirizzo di studio che ho scelto (Interpretariato e Comunicazione all’Università di comunicazione e lingue IULM di Milano) mi ha permesso di avere una specializzazione in inglese e francese: tutto questo mi è servito per imparare a leggere il contesto socio-economico-demografico in cui mi trovavo. Ho svolto stage e partecipato ad attività di volontariato, sia all’estero sia in Italia. Con lo United Nation Development Programme, alle Nazioni Unite, mi sono occupata di assistenza e gestione dei progetti, ho lavorato in una fondazione no profit nell’ambito della comunicazione e dell’organizzazione di eventi. Così ho potuto fare esperienza sulle abitudini di acquisto delle persone, conoscere le pratiche di comunicazione e di gestione dell’ufficio stampa, facendomi un’idea di come si possa realizzare un piano di comunicazione e di commercializzazione di un nuovo prodotto.

Come è nata la sua azienda, e di che cosa si occupa?

Tutto è cominciato in un appartamento di Milano, che condividevo con la futura collega Adriana Santonocito. Ci siamo ritrovate a vivere da coinquiline dopo la mia esperienza egiziana e, raccontandoci i nostri percorsi professionali, appresi che Adriana si dedicava anche agli sviluppi di uno studio portato avanti dal Politecnico di Milano che puntava a ottenere un tessuto dagli scarti della produzione di arance. Adriana era desiderosa di creare una collezione di moda e mi propose di aiutarla nella parte comunicativa di un suo progetto.

Mi convinse a sostituirla in una presentazione alla finale di un concorso a Barcellona a cui si era iscritta, rivolto a startup del bacino del mare Mediterraneo. Forse anche grazie alle mie abilità comunicative in inglese, vincemmo il concorso. Così l’azienda, chiamata Orange Fiber, ha iniziato a prendere forma nel 2014, quando abbiamo ottenuto i primi brevetti. Inizialmente l’attività verteva sulla presentazione di prototipi: nonostante la visibilità e i tanti interessamenti riscontrati durante e a seguito di Expo 2015, restava il problema delle scarse risorse economiche, tanto che il futuro dell’azienda era avvolto nell’incertezza. Per sostenerci abbiamo partecipato a concorsi indetti da grandi realtà della moda, abbiamo fatto crowdfunding, stretto collaborazioni, avviata la produzione e realizzato filati, tessuti, tovagliette, tovaglioli, cravatte e foulard. Ora possiamo dire che l’attività è a tutti gli effetti avviata.

Quali sono le caratteristiche fondamentali per affrontare un’attività manageriale come la sua?

Servono anzitutto umiltà e curiosità, gli studi sono stati certamente utili e hanno creato le basi su cui sviluppare la mia evoluzione a manager, ma tutto questo sarebbe stato inutile senza la passione. Adesso mi occupo di produzione tessile e di chimica, ambiti lontanissimi dai miei studi. Ho dovuto essere umile e avere molta voglia di mettermi in gioco, per iniziare un percorso di conoscenza in un settore per me nuovo. Considerando che la comunicazione commerciale doveva essere svolta con specifiche competenze tecniche, posso dire che oltre la metà di ciò che oggi faccio non sia stato in alcun modo oggetto dei miei studi curricolari. Sono consapevole che non potrò mai conoscere approfonditamente tutti gli aspetti gestionali che seguo, ma non lo percepisco come un limite in quanto riconosco la necessità di affidarmi ad altri professionisti per gli ambiti che mi sono più sconosciuti.

Quando iniziamo un nuovo progetto sono consapevole che esiste un margine di incertezza riguardo ai tempi, ai rischi e ai risultati che si otterranno. Per questo occorre avere una notevole capacità di adattamento e di resilienza: una condizione che, devo dire, impatta su di me in maniera positiva, stimolandomi e motivandomi a raggiungere gli obiettivi. Mi rendo conto però che non sia così per tutti, per questo ritengo che questa caratteristica oggi giochi un ruolo decisivo.

Ritiene che in un’azienda innovativa facciano più la differenza le competenze di chi ci lavora o l’originalità di ciò che viene offerto?

Credo sia difficile tracciare una linea che separa il contributo dell’attività personale da quello del progetto proposto. Quando ho intrapreso questo cammino, abbracciando l’idea di promuovere la sostenibilità del settore tessile, ho ritenuto che le mie competenze potessero essere utili all’azienda. Mi riferisco soprattutto a quelle maturate nel corso degli anni di formazione, attraverso i rapporti con altri innovatori e durante le esperienze al di fuori dell’Italia. Il confronto con clienti e con partner da tutto il mondo è importante, oltre a rappresentare un passaggio cardine della gestione aziendale, sia per quanto riguarda l’innovazione sia per la qualità dei prodotti offerti. Certamente il progetto industriale che sta alla base dell’attività di cui mi occupo esprime un’idea originale. Questo vale ancora di più al giorno d’oggi, in uno scenario di crescente attenzione verso la sostenibilità e l’utilizzo ottimizzato delle risorse a disposizione. 

Come sta evolvendo il settore della moda sostenibile?

La sostenibilità nella produzione di tessuti rappresenta, da un decennio a questa parte, un argomento cruciale nel futuro della moda e nel processo di trasformazione green. Qualche anno fa il nostro modello era considerato assolutamente innovativo, oggi lo scopo è farlo diventare una realtà produttiva che coinvolga volumi importanti. I tanti riconoscimenti ottenuti dimostrano un interesse generale che va oltre le sole esigenze commerciali o la necessità di realizzare qualcosa di nuovo, ma guarda al futuro in modo prospettico. La mia sensibilità verso gli aspetti sociali e ambientali mi induce a valutare come una grande opportunità globale quella di potere utilizzare materiale organico di scarto per creare tessuti sostenibili. Questo modo di produrre tessuti rappresenta un modello di produzione ripensato per tutelare il nostro pianeta e, di conseguenza, tutte le persone.

CONCETTI IN PRATICA

Ricavare tessuti dagli scarti di produzione delle arance

La tecnologia, realizzata in collaborazione con un laboratorio del Politecnico di Milano, estrae la cellulosa dagli scarti della spremitura degli agrumi e la trasforma in una fibra biodegradabile simile alla seta. La stessa cellulosa può anche essere estratta da mandarini, pompelmi e limoni. I sottoprodotti dell’industria agrumicola rappresentano il 60% del peso del frutto intero: senza questo genere di recupero i sottoprodotti dovrebbero essere molto probabilmente smaltiti, poiché di fatto inutilizzati. Il brevetto di questa tecnologia è stato depositato in Italia nel 2014, per poi essere esteso ad altri Paesi che sono produttori di quantità di agrumi rilevanti. Se tutti gli scarti della produzione fossero trasformati in vestiti, l’impatto sul nostro pianeta sarebbe determinante: stiamo parlando di quantità davvero rilevanti se si considera che, solo in Italia, ogni anno vengono gettate 700mila tonnellate di sottoprodotti degli agrumi. La cellulosa estratta è compatibile con la filatura, e il prodotto tessile che si ottiene è una forma di viscosa ecologica. Non si tratta di un filato di serie B, infatti anche grandi case della moda li hanno già inclusi nelle loro collezioni.

Dalle arance ai filati
Crediti: Luca Distefano/Orange Fiber