Interviste e percorsi

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I numeri delle professioni: traduzione

Quanti traduttori e traduttrici ci sono in Italia e in quali settori lavorano

Non è semplice stimare il numero di traduttori e traduttrici operanti in Italia. Questo per due ragioni: primo, perché non esiste un albo nazionale, né tantomeno un censimento a tappeto – per esempio, come quelli che confeziona l’Istat (Istituto nazionale di statistica) – e secondo, perché la maggior parte dei lavori di traduzione sono fatti con cessione di diritto d’autore. Questo significa, per esempio, che non esiste l’obbligo fiscale di aprire una posizione con partita iva, che rientrebbe nei conteggi delle camere di commercio e del Ministero dell’economia e delle finanze.

Esistono tuttavia delle associazioni di categoria che cercano di mappare la situazione, sebbene non sia obbligatorio esservi iscritti per esercitare la professione. La più grande di queste associazioni è AITI (Associazione italiana traduttori e interpreti), che attualmente include 1243 persone iscritte, probabilmente una minima parte di quello che potrebbe essere il totale di lavoratori e lavoratrici nel settore, se consideriamo che il gruppo Facebook dell’associazione conta oltre 20 mila membri. Attualmente, fra le persone iscritte all’AITI, il 65% opera nel settore tecnico-scientifico, il 10% è interprete di conferenza e un altro 10% è interprete commerciale. Il restante 15% è suddiviso tra le altre specialità: narrativa, saggistica, giuridico-giudiziaria e socio-sanitaria.

Le stime dell’AITI

Nel 2018 AITI ha pubblicato un sondaggio condotto sul territorio italiano diffuso tramite social media, rivolto anche a persone non iscritte all’associazione, che stimava – ci fanno sapere – in circa 5000 le persone che stavano lavorando nell’ambito della traduzione e/o dell’interpretariato. Stando al prospetto dell'Agenzia delle entrate per la compilazione degli ISA (Indici sintetici di affidabilità), inviati a Zanichelli da AITI, nel 2020 erano 1752 i contribuenti che offrivano prevalentemente il servizio di traduzione, 253 quelli di interpretariato, 450 quelli che operavano prevalentemente come centri di traduzione, cioè come attività che prevedono del personale o collaborazioni esterne; mentre risultavano essere 241 le persone che offrivano servizio di intepretariato di conferenza. Questi dati vanno letti alla luce del fatto che non tutte le persone che svolgono questo mestiere devono compilare il modello ISA, quindi sono parziali.

Ci spiegano tuttavia che dal 2020 la situazione è con buona probabilità cambiata, dal momento che da quanto riferito dalle persone iscritte alla loro associazione, una parte di esse non è riuscita a rimanere a galla durante i blocchi della pandemia, e ha abbandonato l’attività, che spesso è un secondo lavoro. Infine, ci dicono che diversi sono gli insegnanti, e non solo, che affiancano la traduzione alla propria attività primaria. Il 70% delle persone intervistate dichiarava infatti di mantenersi con la professione, mentre il 30% di avere un altro lavoro retribuito.

Età, esperienza di lavoro, formazione e per chi lavorano

Dal sondaggio emerge che si tratta di una professione prettamente femminile: l’85% dei rispondenti è donna; una persona su quattro ha meno di 35 anni, quasi la metà è fra i 35 e i 49 anni e poco più di una su quattro ha più di 50 anni. Come esperienza lavorativa, solo il 10% delle persone lavorativamente attive nel 2018 vantava un’esperienza trentennale, contro il 28% di chi dichiara di lavorare da meno di 15 anni.

Per quanto riguarda la formazione, 9 su 10 hanno conseguito una laurea, la metà in traduzione/interpretazione, un quarto in lingue e l’altro quarto ha conseguito un altro tipo di titolo. Fra le 500 persone che hanno risposto al sondaggio, il 70% ha dichiarato di essere traduttore/traduttrice, il 6% interprete e il 23% entrambi. La maggior parte lavora nel settore del marketing e nella pubblicità, seguito da quelli dell’industria e della tecnologia, del diritto, della cultura, dell’arte, della medicina e della farmaceutica.

Il 60% del loro fatturato proviene da agenzie di traduzione, il 38% direttamente da clienti e un altro 12% da colleghe e colleghi che chiedono loro di collaborare. Alla domanda (a risposta multipla) «come acquisisci i clienti?», l’opzione più indicata, scelta dal 43% dei rispondenti, è stato il passaparola di colleghi e clienti. Il 13% trova lavoro grazie ai portali dedicati, l’11% facendo una propria pubblicità, il 10% tramite social e un altro 10% grazie al proprio sito web.

Una delle “regole non scritte” dei liberi professionista per garantirsi una solidità di impresa, è di avere più clienti, il più grosso dei quali non dovrebbe costituire oltre un terzo del fatturato complessivo. Questo perché far dipendere quasi tutto il proprio fatturato da un unico cliente fa sì che se questo dovesse venire meno, ci si potrebbe trovare da un giorno all’altro in grosse difficoltà. Secondo il sondaggio di AITI, solo una persona su tre segue questa regola nel settore della traduzione, ricevendo dal miglior cliente meno del 40% del proprio fatturato.

Un’ultima domanda interessante è con quale lingue si lavora di più. Anche qui è complesso dare una stima solida. Sempre stando al sondaggio AITI, l’inglese sembra essere ancora la lingua più importante da sapere bene per lavorare come traduttori. Seguono tedesco e francese. Queste combinazioni costituiscono l’80% dell’attività di traduzione censita dall’associazione, mentre il 10% riguarda altre lingue.

A seconda della lingua e del mercato di riferimento dei testi su cui si lavora, variano le tariffe. In base all’esperienza e al contesto il range cambia tantissimo: a titolo di esempio, per traduttori e traduttrici professionisti si va dai 5 ai 20 centesimi a parola, anche se sono pochissime le persone (il 2% circa di quelle intervistate) che raggiungono tariffe così alte.

Il prossimo sondaggio con i dati aggiornati – ci dicono da AITI – verrà pubblicato nel 2024.

I dati provenienti dall’editoria

Un’altra fonte di dati utile per inquadrare il mercato sono le statistiche sull’editoria: quanti traduttori e traduttrici ci lavorano? Secondo la nota di Istat su Produzione e lettura di libri in Italia per l’anno 2020, la metà delle case editrici attive censite da Istat nel sondaggio (1624 in totale) traduce libri in altre lingue, quindi si avvale di persone per la traduzione: un terzo di loro utilizza risorse interne, due terzi risorse esterne. Questo significa che solo il 16% delle case editrici italiane ha traduttrici e traduttori assunti come dipendenti (“interni”), il 34% si avvale solo di collaborazioni esterne. Un altro dato interessante fornito dai report dell’Istat è il numero di libri tradotti; secondo l’indagine realizzata nel 2022, nel 2021 sono state pubblicate 13 041 opere tradotte di varia per adulti e 2810 opere tradotte per ragazzi e ragazze e per l’infanzia, per un totale di 15 851 libri. Di questi, il 51% è stato tradotto dall’inglese, il 14% dal francese, il 6% dal tedesco, il 3% dallo spagnolo, il 2% da lingue slave, il 2% da latino e greco antichi, il rimanente da altre lingue o da dialetti italiani.

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