Interviste e percorsi

Interviste e percorsi

Dai tuoi interessi al mondo del lavoro

Sapere e saper comunicare

Intervista a Marica Signorello, laureata in Chimica e Tecnologia farmaceutica, si occupa di sviluppo del business

Immagine di copertina per gentile concessione di Marica Signorello

Laureata in Chimica e Tecnologia farmaceutiche all'Università degli Studi di Milano, dopo una breve esperienza in campo farmaceutico nel controllo qualità, dal 2013 lavora nell’ambito della distribuzione di materie prime cosmetiche. Attualmente in Cometech, ricopre il ruolo di tecnico commerciale, con il compito di effettuare business development; mantenere il rapporto con la clientela assegnata ed acquisita, attraverso un elevato livello di servizio e un’alta attenzione alla relazione; gestire i clienti in essere con relazioni sistematiche, costruttive ed efficaci; produzione di reportistica periodica sulle azioni intraprese, sull’evoluzione del mercato di riferimento, su eventuali nuove opportunità commerciali.

INDICE

  • Il suo è un lavoro particolare, che in pochi conoscono. Può raccontarci di che si tratta?
  • Quale è stato il suo percorso formativo? Ha una laurea in chimica farmaceutica: durante gli studi immaginava che avrebbe lavorato in un’azienda di cosmetici?
  • Quanto è utile la formazione in chimica per il suo lavoro attuale?
  • Quali sono le attitudini richieste dal suo lavoro, doti che ha scoperto di avere o che ha via via sviluppato?
  • Lei si occupa anche di divulgazione scientifica e ha un seguito non indifferente…
  • C’è un messaggio particolare che vuole dare a chi legge queste righe?

Il suo è un lavoro particolare, che in pochi conoscono. Può raccontarci di che si tratta?

Lavoro in un’azienda che distribuisce materie prime cosmetiche, vale a dire tutti quegli ingredienti che si leggono sulle etichette di prodotti come trucchi, detergenti, prodotti per capelli, per l’igiene orale ecc. In generale, tutto quello che non è un farmaco e non è cibo, e che in Italia viene realizzato da aziende con un proprio marchio o aziende terziste, che lavorano cioè per conto di aziende straniere. Io lavoro principalmente con i terzisti, perché i marchi italiani sono pochi.

Vendo materie prime e sono distributrice, nel senso che non ho a mia volta una produzione alle spalle. Le materie prime che vendo sono quelle che i produttori decidono di affidarci o che troviamo sul mercato. Ci si potrebbe chiedere perché un’azienda di prodotti finiti non vada direttamente a comprare gli ingredienti da chi li produce ma si rivolga a noi distributori, visto che per il nostro lavoro aggiungiamo un ricarico sul prezzo. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto il distributore si occupa di seguire le quotazioni degli ingredienti e di prendere i contatti con i produttori, poi si occupa della logistica, organizza le spedizioni e sbriga tutte le pratiche amministrative e doganali, tenuto conto che spesso le materie prime arrivano dall’estero. Per le aziende che realizzano il cosmetico è più comodo affidarsi a un distributore piuttosto che seguire in autonomia tutti questi passaggi. Il distributore può anche fare da magazzino per l’azienda produttrice, comprando grandi quantità di ingredienti per risparmiare sulle spedizioni e rifornendo l’azienda via via che questa ne ha bisogno. Il distributore, infine, conosce la situazione del mercato nel Paese in cui opera e di solito fa anche da agente commerciale per i produttori di materie prime, perché sa a chi proporre gli ingredienti e conosce la concorrenza. Per questo motivo le aziende che producono materie prime spesso affidano i loro ingredienti in esclusiva a un distributore e non vendono direttamente a chi realizza il prodotto finito.

Quale è stato il suo percorso formativo? Ha una laurea in chimica farmaceutica: durante gli studi immaginava che avrebbe lavorato in un’azienda di cosmetici?

Mi sarebbe piaciuto molto lavorare in ambito farmaceutico, la mia ambizione era trovare il vaccino contro il virus che provoca l’Aids. Ma una volta uscita dall’università mi sono scontrata con una realtà difficile. Per laurearmi ho impiegato un anno e mezzo in più dei cinque previsti e per questo ero preoccupata, avevo paura di essere in ritardo. Ho iniziato a mandare curriculum alle aziende ancora prima di finire l’università e ho continuato per i due anni successivi. Ho capito subito che la ricerca non era la mia strada, avrebbe significato ritardare l’indipendenza economica che invece era uno dei miei obiettivi. A un certo punto ho trovato lavoro nel settore del controllo qualità. Questo voleva dire restare nel mondo del farmaco ma seguire solo una piccola parte della filiera produttiva. Inoltre era un lavoro troppo routinario e non faceva per me, quindi ho deciso di guardarmi ancora intorno. Avendo fatto l’esame di stato da farmacista, sapevo di avere una rete di protezione su cui ancora oggi posso contare: in qualsiasi momento potrei trovare lavoro in una farmacia. Cercavo però qualcosa che avesse direttamente a che fare con la chimica. Mandavo curriculum a tappeto, anche se non avevo sempre le caratteristiche richieste dall’offerta o se il lavoro non corrispondeva del tutto alle mie esigenze. Non avevo niente da perdere, facevo un lavoro che non mi piaceva più e avevo capito che volevo cambiare. A un certo punto ho trovato un’occasione come tecnico commerciale in ambito cosmetico. Mi sono detta: perché no? e mi sono presentata al colloquio.

Quanto è utile la formazione in chimica per il suo lavoro attuale?

Le materie prime che tratto sono ingredienti che andranno a costituire un prodotto finito e quindi hanno naturalmente a che fare con la chimica. Magari non è importante conoscere la trasposizione pinacolinica dei dioli vicinali o sapere come si fanno le sintesi delle eterociclica, per fare due esempi molto lontani dal quotidiano, ma avere le basi della materia mi permette di dialogare facilmente con i clienti: nelle aziende dove vado a presentare gli ingredienti mi trovo di fronte a tecnici di laboratorio che hanno almeno un diploma da perito chimico, per cui sapere che cos’è il pH, come si calcola, che cosa vuol dire essere solubile in acqua o in olio, che cos’è un’analisi qualitativo-quantitativa mi aiuta molto.
È utile anche per diventare referente dell’azienda rispetto ai clienti, che sanno di avere qualcuno su cui contare. Se per esempio un’azienda che produce saponi vuole capire come mai un certo ingrediente che compra da te provoca un’alterazione del colore, conoscendo la chimica puoi capire qual è il problema e magari risolverlo senza scomodare chi produce quell’ingrediente. In questo modo risparmi tempo e diventi un valore aggiunto per l’azienda. È anche molto più divertente, perché non ti limiti a proporre un catalogo ma puoi confrontarti su tanti aspetti.

Quali sono le attitudini richieste dal suo lavoro, doti che ha scoperto di avere o che ha via via sviluppato?

La dote principale è senz’altro la capacità di interagire con gli altri. Bisogna fare amicizia anche con i muri, per così dire. Devi avere voglia di parlare con tante persone diverse che hanno funzioni diverse ed essere sempre un punto di riferimento, perché queste persone fanno affidamento su di te. Per questo motivo devi prima di tutto prepararti, sapere che cosa dire. Non basta conoscere il prodotto che stai vendendo. Occorre individuare le proprie lacune e ogni giorno cercare di colmarle ripassando o studiando da zero. Serve poi mantenere una visione complessiva, non basta sapere se una certa materia prima si scioglie o meno in acqua, che colore assume o quanto costa al kilogrammo, bisogna sapere come si colloca nel panorama del settore, quali sono le regole che la riguardano, quali sono i marchi che la usano, o che magari non la usano più e perché. Non bisogna focalizzarsi su un aspetto, ma avere voglia di studiare tutto per fornire una consulenza il più completa possibile. Ci vuole infine una certa flessibilità nell’organizzazione della propria giornata. Il lavoro è molto vario e richiede a volte di trascorrere più tempo in ufficio, altre volte fuori ufficio o in trasferta per la visita alle aziende.

Lei si occupa anche di divulgazione scientifica e ha un seguito non indifferente…

Quella che faccio io non è divulgazione in senso stretto. Conosco alcune cose e ne parlo per il piacere di condividerle con chi potrebbe essere interessato. Cerco più che altro di far conoscere i diversi aspetti del mio lavoro, un lavoro che si svolge dietro le quinte e di cui molti ignorano l’esistenza. Mi diverto a smontare convinzioni, a sfatare certi miti che riguardano la cosmetica. Le persone si stupiscono di scoprire che l’ombretto non si ricompatta con l’alcol, che il bagnoschiuma non si allunga con l’acqua, che c’è una differenza sostanziale tra bagnoschiuma e bagnodoccia, e così via.
Ma faccio informazione anche perché voglio proteggere il mio lavoro, che sta diventando via via più difficile. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per la cosmetica ed è cresciuta di pari passo l’informazione in proposito. Spesso però si tratta di informazione distorta, se non proprio sbagliata. Certe materie prime sono finite in una specie di lista nera per via di una cattiva fama totalmente immeritata e le aziende si trovano in difficoltà ad utilizzarle nei loro prodotti, perché i clienti non le vogliono. Ogni anno sono sempre di più quelle che non si riescono a vendere, magari a causa di una stroncatura su Internet da parte dell’influencer di turno. Pensare che i parabeni provochino tumori, o che la paraffina non vada usata perché è un petrolato sono convinzioni senza un vero fondamento scientifico: se faccio divulgazione è anche per mettere in guardia dalla deriva che sta prendendo l’informazione in ambito cosmetico. Il lato positivo è che la presenza sui social mi permette di avere il polso della situazione: spesso riesco ad anticipare le preoccupazioni dei miei clienti perché conosco le discussioni tra gli utenti finali e le aziende mi chiedono consigli sulla comunicazione.

C’è un messaggio particolare che vuole dare a chi legge queste righe?

Il consiglio che mi sento di dare è di non avere fretta. È bene prendersi tutto il tempo che serve e soprattutto essere consapevoli che nulla è irreversibile. Se a un certo punto del percorso ti rendi conto che qualcosa non va, devi avere la lucidità di capirlo e provare ad aggiustare il tiro. Anche perché non c’è nessun percorso di studio, nessuna accademia, nessun master che ti prepara davvero alla vita lavorativa. Mi ricordo la mia prima esperienza nel laboratorio di controllo qualità: quando sono entrata ero ferratissima sulla teoria, conoscevo perfettamente gli strumenti che avevo intorno e sapevo come funzionavano, ma non ero minimamente pronta a quello che mi veniva chiesto dal punto di vista del lavoro. Il lavoro si impara lavorando.