Interviste e percorsi

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Dai tuoi interessi al mondo del lavoro

Creare film, creare mondi

Intervista a Enrico Bisi, laureato in lettere, regista e fondatore di una casa di produzione cinematografica

Enrico Bisi è laureato in lettere con una tesi in Storia e critica del cinema ed è regista di documentari. Ha fondato una casa di produzione chiamata Base Zero, insegna in corsi di cinema e ha diretto il Sottodiciotto Film Festival di Torino, un festival del cinema rivolto a giovani ragazzi e ragazze.

Ha iniziato la sua carriera girando cortometraggi con cui ha vinto numerosi premi. Il primo documentario, Solo un giorno, lo ha diretto nel 2008; nel 2010 ha realizzato Pink Gang, sulla Gulabi gang che lotta per i diritti delle donne in India, premiato in Italia e all’estero. Nel 2016 ha realizato il docu-film Numero Zero: alle origini del rap italiano.         

INDICE

  • Che cosa le piace di più del suo lavoro di regista?
  • Oltre a realizzare film, per due anni ha diretto il Sottodiciotto Film Festival di Torino. Le è piaciuto proporre al pubblico i film realizzati da altre persone?
  • Com’è fatta la sua giornata tipo?
  • Quale percorso di studio e quali esperienze sono state più utili per il suo lavoro?
  • Ci racconta un aspetto critico del suo lavoro?
  • CONCETTI IN PRATICA - Come si fa un documentario?
  • LE PROFESSIONI – Realizzare un film

PER APPROFONDIRE

  • Scopri dove si studia lettere

Che cosa le piace di più del suo lavoro di regista?

Già da quando ero uno studente ho sempre guardato moltissimi film. Mi piaceva il fatto di poter osservare e conoscere le vite altrui, di potermi immergere al loro interno. A un certo punto, ho capito che da spettatore potevo diventare anche autore. Potevo cioè creare i mondi che vedevo nei film. Ecco, questa sensazione è rimasta una delle cose che mi piacciono di più del mio lavoro. Non mi interessano tanto il successo o i soldi, ma la possibilità di proiettare e far vedere alle persone qualcosa che ho creato io. Diciamo che, narcisisticamente, è molto piacevole partecipare ai festival cinematografici con un tuo lavoro e ricevere gli applausi del pubblico. Si tratta di una sensazione di gratificazione davvero bella perché in quel momento capisci che tutti gli sforzi che hai fatto vengono finalmente riconosciuti. In ogni lavoro è importante che qualcuno ti dica se stai facendo bene o male. Nel cinema, il riscontro del pubblico, ancor più che il giudizio della critica, è fondamentale, almeno per me.

A pensarci bene, se però devo dire qual è il momento del mio lavoro in cui mi sento meglio è quando mi ritrovo seduto di fianco al montatore. E questo per due ragioni. La prima è che durante la fase di montaggio costruisci davvero il film. Questo vale soprattutto nel caso dei documentari che non hanno sceneggiature definite come accade nei film di fiction. La seconda ragione consiste nel fatto che se sei con il montatore significa che hai finito di fare le riprese. A me le riprese generano sempre ansia perché sono molto costose e devi farle in pochissimo tempo, sperando che niente vada storto. Nel montaggio se fai un errore puoi sempre correggerlo, mentre se sbagli a fare una ripresa è un grosso problema.

Oltre a realizzare film, per due anni ha diretto il Sottodiciotto Film Festival di Torino. Le è piaciuto proporre al pubblico i film realizzati da altre persone?

È stata un’esperienza molto bella perché mi sono ritrovato dall’altra parte e ho capito che non basta costruire un programma di film di alto livello, ma bisogna fare in modo che le persone, in questo caso soprattutto ragazze e ragazzi giovani, vengano poi in sala a vederli.

Devo dire che non ho mai pensato di intraprendere la carriera da direttore di festival. Si tratta di un lavoro che richiede un percorso di formazione specifico che io non ho mai intrapreso. Anni prima avevo solo proposto al Sottodiciotto di fare una rassegna. È andata molto bene e mi è stato chiesto di ripeterla l’anno successivo. E l’anno dopo ancora mi hanno offerto il ruolo da direttore.

Com’è fatta la sua giornata tipo?

È molto difficile che ci sia una giornata uguale all’altra. A volte passo tutto il tempo a scrivere un nuovo progetto o a studiare per preparare una lezione. Altre volte guardo film che vengono proposti alla nostra casa di produzione. Ci sono anche giornate in cui non faccio altro che pagare fatture. E, ovviamente, ci sono i periodi in cui vado a girare, cioè a fare le riprese.

In sostanza, passo la maggior parte del mio tempo lavorativo seduto davanti a una scrivania. Il cinema ha dei tempi estremamente lunghi e bisogna scrivere molto, non solo per definire il soggetto e la sceneggiatura, ma anche per compilare tutti i documenti che servono per partecipare ai bandi da cui si spera di ottenere le risorse economiche necessarie. Per dare un’idea, il tempo di lavorazione di un film può essere di circa tre anni e la fase di riprese può durare meno di un mese.

Quale percorso di studio e quali esperienze sono state più utili per il suo lavoro?

Credo di aver imparato tutto dalle esperienze vissute ai tempi dell’università. Quando mi sono iscritto a lettere, indirizzo artistico, non sapevo che mi sarei dato al cinema. Ero attratto dal mondo dell’arte e in quel periodo ho iniziato a conoscerlo. E non solo grazie ai corsi e agli esami, ma frequentando i miei coetanei con cui condividevo quella che diventava sempre di più una grande passione per il cinema.

Quello dell’università è un momento particolare dell’esistenza di una persona. Di solito hai il tempo per fare quello che vuoi, insieme a chi vuoi. Hai la possibilità di metterti in gioco e di scoprire come sei fatto e come sono fatti gli altri. Ricordo ore e ore di chiacchierate al bar in cui di fatto si studiava perché l’argomento era sempre lo stesso, il cinema.

In quel periodo guardavo tantissimi film e studiavo la storia del cinema, le vite dei grandi registi. Ero un classico “cinefilo”, dovevo guardare almeno tre film al giorno. Non potevo non conoscere tutti i film di un maestro come Hitchcock, per esempio. E andavo a cercare libri e articoli per approfondire.

Poi, verso la fine dell’università, con un gruppo di amici è nata l’idea di realizzare un film a modo nostro. Ci abbiamo provato e, da quel momento, non ho mai smesso di farlo. Non era per niente facile perché per girare un film servivano tanti soldi e, a volte, bisognava rinunciare alle vacanze per comprare la pellicola.

Ci racconta un aspetto critico del suo lavoro?

Come dicevo prima, per fare un film occorre trovare i soldi e spesso questa fase ti costringe a lunghe e snervanti attese. Quando mandi una mail importante la cui risposta può segnare la sorte di un progetto che stai seguendo da mesi e mesi, non ti senti proprio bene. In questo lavoro l’umore è messo costantemente alla prova.

Inoltre, bisogna considerare che i film non si sostengono quasi mai con gli incassi dei biglietti. Per essere realizzati occorrono investimenti a fondo perduto da parte delle istituzioni. È ciò che accade per l’opera, per esempio. Nel corso degli anni le risorse economiche a disposizione del cinema sono gradualmente diminuite per cui questa fase del mio lavoro è diventata sempre più faticosa e critica.

Certo, se fai il regista di spot pubblicitari la situazione è molto diversa perché in quel caso i soldi ci sono e con una certa regolarità. Però fai anche un altro lavoro rispetto al mio.

Concetti in pratica

Come si fa un documentario?

Per realizzare un film documentario si parte sempre dalla tua idea. Della quale devi essere estremamente convinto, perché più ne sei sicuro e più è facile convincere e trovare un produttore. La figura del produttore è fondamentale in un film, senza non puoi fare niente. È un tuo alleato, la persona che ti può dare i suggerimenti che ti servono per scrivere e impostare al meglio il film. O per trovare le risorse esterne che ti possono aiutare. A volte si rimane bloccati nella scrittura della sceneggiatura e, in quei casi, è il produttore che può mandarti chi può farti uscire da quella situazione.

Il produttore è anche la persona che deve cercare i primi soldi, quelli che servono per iniziare a sviluppare il film. Nel caso di un documentario spesso bisogna cominciare a girare qualcosa, e girare costa parecchio perché devi pagare una troupe e le attrezzature.

Poi inizia la fase di ricerca vera e propria dei soldi. Questa può essere molto lunga.  Si procede a passi lenti e irregolari. A volte, strada facendo, ci si può accorgere che sarebbe meglio riscrivere una parte della sceneggiatura e allora bisogna mettersi a farlo. Oppure può capitare di dover intervistare un personaggio fondamentale per la storia che però non è facilmente reperibile. E allora ci devi stare dietro e magari devi aspettarlo per mesi.

Durante questa fase bisogna sapere gestire bene il proprio tempo, soprattutto nei momenti di pausa. È molto facile abbattersi e perdere la concentrazione.

A un certo punto, se tutto va bene, ricevi la conferma che ci sono i soldi per poter girare e allora organizzi le riprese. Nei documentari non riesci mai a prevedere e controllare i tempi di ripresa in modo da ridurli al minimo, come succede nei film di fiction. Piuttosto devi sempre “rincorrere la realtà”, girando un po’ qua e un po’ là, in parte improvvisando a seconda delle situazioni.

Una volta terminato di girare, inizi a montare. Nel mio caso il montaggio dura circa quattro mesi. Nel corso di questa fase il film prende gradualmente forma e, quando è a buon punto, viene mostrato in primis al produttore e poi a persone di cui ti fidi ciecamente, le cui opinioni ti permettono di capire quali parti vanno tagliate. Non è mai facile rinunciare a un pezzo di film su cui magari hai lavorato tantissimo e a cui sei affezionato. Ma se pensi all’obiettivo principale, cioè ottenere il miglior risultato finale, allora tagli anche se a malincuore

Quando decidi che il montaggio è finito, passi all’ultima fase, la post-produzione, nella quale si fanno gli ultimi ritocchi ai colori e ai suoni. E, a quel punto, il film è davvero concluso e speri che vada in un festival e che possa essere distribuito nelle sale.

 

Le professioni

Realizzare un film

Il film è un’opera collettiva, che richiede il lavoro a stretto contatto di molte persone, tra cui quelle che si occupano:

  • della regia (regista)
  • della produzione (produttrice/produttore)
  • della sceneggiatura (a volte gestita gestita dalla stessa persona che si occupa della regia)
  • del montaggio (montatore/montatrice)
  • editor (collabora per la sceneggiatura)
  • della fotografia (direttrice/direttore della fotografia)
  • del suono (fonico/fonica)

Nel caso dei film di fiction, sono ovviamente coinvolti attori e attrici e le persone che si occupano di trucco, vestiti e oggetti di scena.