Interviste e percorsi

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Dai tuoi interessi al mondo del lavoro

Progettare edifici confortevoli ed ecosostenibili

Intervista a Elena Biason, ingegnera civile, si occupa di sostenibilità e risparmio energetico

Immagine di copertina per gentile concessione di Elena Biason

Elena Biason è un’ingegnera civile, si occupa di sostenibilità e risparmio energetico degli edifici. Con il suo lavoro cerca di migliorare la vita delle persone attraverso una progettazione integrata, per garantire un ambiente climaticamente confortevole e piacevole, sfruttando al massimo le risorse rinnovabili.

INDICE

  • Quando ha scoperto che la sostenibilità era la sua strada?
  • Come mai ingegneria e non architettura?
  • Come è avvenuto il suo ingresso nel mondo del lavoro?
  • Di che cosa si occupa nel suo lavoro?
  • Ha una routine quotidiana o settimanale? Come si svolgono le sue giornate lavorative?
  • Che cosa trova particolarmente appassionante nel suo lavoro?
  • Quali sono le criticità?
  • Quali attitudini sono utili per il suo mestiere?
  • Che cosa le è stato più utile di quello che ha studiato?
  • Quali esperienze ritiene siano utili per svolgere il suo lavoro?
  • SCIENZA IN PRATICA – Quali applicazioni pratiche dei concetti teorici sono più frequenti nel suo lavoro?
  • LE PROFESSIONI – Progettare edifici: un lavoro di squadra

PER APPROFONDIRE

  • Obiettivo: ingegneria civile – Scopri percorsi di studio e sbocchi professionali

Quando ha scoperto che la sostenibilità era la sua strada?

Dopo il liceo scientifico mi sono iscritta alla facoltà di ingegneria civile: l’interesse per il mondo delle costruzioni è nato come passione per la storia dell’architettura. Il mio professore di storia dell’arte del liceo, un architetto, preferiva approfondire la storia dell’architettura rispetto a quella dell’arte e stimolava la classe con ricerche e approfondimenti sul tema. È nata in quel momento la passione per questa materia. All’università, il mio corso di studi è stato abbastanza standard ma negli esami a scelta prediligevo quei percorsi più innovativi che riguardavano la sostenibilità, un tema che nel 2012 era ancora all’inizio.

Dopo la laurea, ho fatto un’esperienza all’estero, a Berlino: il tema della sostenibilità era più attuale in Germania e ho potuto approfondire ulteriormente aspetti legati all’ambiente e all’energia.

Come mai ingegneria e non architettura?

Sono estremamente pragmatica e precisa: ho bisogno di criteri oggettivi di valutazione e di parametri definiti con cui misurare la realtà. La matematica mi piaceva per la sua oggettività; il processo architettonico è creativo e soggettivo, non mi sentivo a mio agio in un terreno che mi sembrava così aperto, in cui non era ben definito un punto di arrivo. L’ingegneria civile mi sembrava la quadra tra la matematica e l’architettura: potevo dedicarmi alle costruzioni con la precisione e l’approccio della matematica.

Come è avvenuto il suo ingresso nel mondo del lavoro?

Dopo l’esperienza a Berlino ho iniziato a lavorare per uno studio di progettazione impiantistica. Era il 2015: il Paris Agreement on Climate Change aveva già spostato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della sostenibilità e del cambiamento climatico, si era creata molta più sensibilità a riguardo. La scelta più coraggiosa che ho fatto è stata quella di iscrivermi nel 2016 al master della SOS – School of Sustainability, fondata dall’architetto Mario Cucinella. Questo master mi ha fornito una panoramica molto generale ma anche approfondita sulla sostenibilità: è stato la chiave che ha aperto la porta di questa passione e che ha fatto per me la differenza. Infatti, dopo il master sono rimasta a lavorare all’interno di MCA – Mario Cucinella Architects come collaboratrice per quasi cinque anni.

Di che cosa si occupa nel suo lavoro?

Mi occupo dell’environmental design, seguendo una progettazione integrata: ciò significa che la forma di un edificio non deriva da un gesto formale, ma è frutto di studi del contesto, del clima, delle tradizioni culturali, dell’architettura vernacolare di un luogo. L’environmental design si occupa dell’analisi del clima, degli asset da sviluppare (per esempio zone particolarmente ventose, zone a ridosso del mare), delle analisi ambientali, dello studio della radiazione solare e dell’illuminazione interna degli spazi. Lavoro spesso in team e ogni scelta è frutto di un continuo scambio e confronto. Attualmente sono consulente ambientale: ho virato verso l’ingegneria ambientale e la sostenibilità, senza perdere di vista il focus sugli edifici.

Ha una routine quotidiana o settimanale? Come si svolgono le sue giornate lavorative?

Il lavoro è abbastanza sedentario e si svolge al computer. Non è però mai noioso: ogni giorno, a seconda del progetto, collaboro con persone diverse; per esempio, stabiliamo in gruppo quali sono le indagini più interessanti da svolgere, perché ogni progetto richiede un approccio diverso. Cerchiamo di condurre analisi differenziate a seconda delle normative, della sensibilità delle persone, sfruttando il margine di libertà che ci rimane.

Che cosa trova particolarmente appassionante nel suo lavoro?

Mi piace la freschezza dei rapporti con le persone con cui lavoro e la voglia di sperimentare: siamo tutti molto giovani, ci divertiamo, a volte mi sento come in una classe a scuola, c’è molto spirito di gruppo. Ciò che mi spinge sempre e mi incentiva è cercare di capire come il mio lavoro, così scientifico e preciso, può influire sulle persone, sia dal punto di vista fisico sia psichico ed emozionale. I luoghi rimangono nelle persone che li frequentano: sono affascinata da questa idea. Vorrei migliorare la vita delle persone attraverso una buona progettazione degli spazi. Per esempio, la mia tesi di laurea era incentrata sull’esperienza di degenza di persone ospedalizzate: ho esaminato come la qualità della degenza dipendesse anche dalla qualità dell’ambiente circostante.

Quali sono le criticità?

Il work life balance: nel mio lavoro non c’è una netta distinzione tra vita professionale e vita privata, non è facile definire un contorno netto. Bisogna cercare di bilanciare bene il lavoro e la vita privata e organizzarsi in modo preciso e programmato per non arrivare troppo in ritardo alle consegne. Con una buona pianificazione si riesce a seguire il processo progettuale con cadenze non troppo incombenti, riuscendo a “mettere un punto” alla fine e arrivare alla conclusione di un progetto nei tempi dati.

Altro aspetto critico, che mi ha spinta sulla soglia dei 35 anni a cercare una nuova posizione lavorativa, sempre nell’ambito delle costruzioni e della sostenibilità, era il fatto di essere a partita IVA. Questa situazione non incontrava più le mie ambizioni personali e professionali.

Quali attitudini sono utili per il suo mestiere?

Questo mestiere richiede flessibilità ed elasticità, lo consiglio a chi non ha paura di cambiare sempre. Anche a livello pratico! Per esempio, i software che usiamo sono costantemente aggiornati e vengono spesso sostituiti. Ogni volta è necessario imparare da capo. Bisogna essere flessibili, i problemi evolvono e non sono mai uguali, risolverli significa percorrere strade nuove e sconosciute. L’attitudine al problem solving è fondamentale: non è mai lo stesso lavoro, dipende dalle circostanze che ci troviamo ad affrontare.

Che cosa le è stato più utile di quello che ha studiato?

Gli insegnamenti universitari mi sono utili non tanto dal punto di vista teorico e nozionistico, proprio perché strumenti e normative cambiano, ma dal punto di vista metodico: è il metodo che mi è rimasto. L’università mi ha insegnato a sviluppare un iter di soluzione del problema. Quella di ingegneria non è una facoltà nozionistica (ovviamente la teoria e le nozioni ci sono) quanto più “metodica”. Bisogna sviluppare una forma mentis che generalizzi una serie di problemi, non basta saper risolvere il problema stesso. Non è importante vedere tutti i casi, ma acquisire gli strumenti per affrontare ogni tipo di caso. Con l’università ho imparato proprio a fare questo.

Quali esperienze ritiene siano utili per svolgere il suo lavoro?

Innanzitutto, la possibilità di avere un punto di vista nuovo e diverso, andando fuori dall’Italia. L’esperienza all’estero è stata per me fondamentale dal punto di vista professionale ma anche relazionale e mi ha dato opportunità uniche: imparare una nuova lingua, relazionarmi con altre culture, approfondire tematiche che in Italia erano meno considerate.

Il master è stato per me il momento di svolta, però non ritengo che sia una tappa imprescindibile per chiunque. Ciò che consiglio vivamente è puntare su una laurea magistrale che permetta di approfondire alcune delle tematiche della triennale. Consiglio di sceglierla con accuratezza e senza fretta. Credo che la magistrale sia il momento più importante per la propria formazione, ancor di più di un eventuale master. L’importante è rimanere fedeli a una tematica: quando si arriva a capire che un argomento ci piace particolarmente, questo va fissato come direzione principale, senza cambiare rotta. Nel mio caso è stato il comfort delle persone e l’attenzione all’ambiente: bisogna coltivare la propria preferenza e approfondirla il più possibile.

Scienza in pratica

Quali applicazioni pratiche dei concetti teorici sono più frequenti nel suo lavoro?

Le analisi ambientali sono il momento in cui applichiamo maggiormente le teorie scientifiche. Per esempio, l’analisi della radiazione solare sulle facciate: attraverso questa analisi è possibile procedere con l’ottimizzazione energetica dell’edificio. Sappiamo che alla nostra latitudine a nord la radiazione è solo diffusa, bisogna lavorare sui lati est, ovest e sud, al fine di garantire apporti solari gratuiti in inverno e controllare il surriscaldamento in estate. Prima di tutto, agiamo sull’orientazione dell’edificio, in relazione alle preesistenze che circondano l’edificio, le quali gettano ombre, e in rispetto del regolamento edilizio del sito costruttivo. Questa analisi influenza il massing, il posizionamento e, molto a grandi linee, la forma dell’edificio.

Più nel dettaglio, analizziamo ogni singola facciata, cercando di ottimizzarla. Ad esempio a sud, dove i raggi sono più alti, sappiamo che funzionano meglio schermature solari orizzontali. Però nei piani più bassi potrebbero esserci comunque ombre: quindi cechiamo di individuare un gradiente di inclinazione, di profondità o di forma che vada a modulare l’irraggiamento solare. Il tutto va fatto tenendo sempre presente l’illuminazione naturale all’interno dell’ambiente: occorre schermare senza oscurare l’interno, bilanciando la temperatura, l’abbagliamento e l’illuminazione.

Le analisi sono eseguite da programmi che studiano un modello tridimensionale dell’edificio lavorando su dati climatici di input.

Possiamo contare su dati climatici sempre più precisi: inizialmente si utilizzavano solo dati storici, provenienti dalle banche dati degli aeroporti. Erano un’approssimazione troppo lontana dal caso reale, anche perché spesso gli aeroporti sono molto distanti dal sito oggetto di analisi. Oggi abbiamo a disposizione file di dati più affinati: attraverso triangolazioni possiamo avere informazioni precise su ogni ambito costruttivo (urbano, rurale, boschivo ecc). Possiamo anche avere dati di proiezioni future per studiare la resilienza climatica dell’edificio. Al momento progettiamo con un target fissato sul 2050, ma in alcuni casi le previsioni arrivano sino al 2080.

I software che utilizziamo sono liberi e costantemente aggiornati da una comunità scientifica di utilizzatori, per esempio Ladybug e Honeybee, tutte implementazioni di programmi di progettazione parametrica. Si presentano con interfacce più semplificate rispetto agli script in linguaggi di programmazione: si tratta di script discretizzati in componenti pronte all’uso, che vanno collegate tra loro. Una volta impostata l’analisi, il programma processa in automatico tutti i parametri da indagare, restituendo come output grafici, diagrammi o schemi colorati che permettono una lettura differenziata dell’edificio e della sua facciata.  

Le professioni

Progettare edifici: un lavoro di squadra

La progettazione di edifici richiede la collaborazione di diverse figure professionali che possono variare a seconda dei casi, tra cui, per esempio, persone laureate in:

  • ingegneria meccanica e energetica, per la progettazione e la gestione degli impianti di un edifici
  • ingegneria civile, per progettare la struttura dell’edificio
  • ingegneria ambientale, per lo studio dell’impatto sul territorio
  • architettura del paesaggio, per la progettazione del verde
  • agronomia, per la progettazione del verde e il rispetto della biodiversità
  • psicologia, per l’analisi del contesto sociale di un determinato luogo e lo sviluppo di processi partecipativi di un progetto
  • pedagogia, per la progettazione di scuole e ambienti per l’infanzia e l’istruzione

Per approfondire prospettive occupazionali e percorsi di studio, leggi Obiettivo: ingegneria civile.

Aggiornato al 21 marzo 2022

Esempio di analisi annuale su scala urbana

Esempio di analisi annuale a scala urbana, applicata al centro di Londra. Simulando la radiazione solare incidente sulle facciate degli edifici e analizzando i raggi solari che giungono a terra è possibile capire quali sono le zone in ombra e quali sono quelle soleggiate, per intervenire rispettivamente a scala di edificio e a scala urbana. Software utilizzati: Ladybug e Grasshopper su Rhinoceros.Immagini per gentile concessione di Elena Biason.